SOCIOLOGIA: LA CONFLITTUALITA' SOCIALE

 LA CONFLITTUALITA' SOCIALE


UN PUNTO DI PARTENZA: DURKHEIM E IL CONCETTO DI ANOMIA

Parlare di conflittualità sociale, da un punto di vista sociologico, non significa semplicemente
individuare Quegli aspetti e problemi che, all'interno della società, creano una situazione di conflitto
tra individui e gruppi o Tra questi e la collettività nel suo complesso. significa soprattutto cogliere la
natura eminentemente sociale di questi aspetti e problemi, individuare Cioè nella società non solo un
luogo in cui il conflitto si manifesta, ma anche un complesso di fattori da cui esso si genera.
Emile Durkheim nel suo saggio “ il suicidio studio della sociologia” e nell'opera “la divisione del lavoro
sociale” Introduce nel linguaggio sociologico il termine anomia, Indicando con esso quello stato di
carenza normativa che si crea in una società quando si indebolisce la coesione tra i suoi membri,
presupposto, necessario per la formazione di valori e sentimenti comuni. L’anomia priverebbe gli
individui di quelle direttive in grado di mantenere la condotta entro limiti appropriati, e favorirebbe
la disgregazione morale della società e l'insorgere dei comportamenti pericolosi per sé e per gli altri.
La concezione durkheimiana di “anomia” Suggerisce che la causa profonda di questi eventi risiede
nella società e non nelle persone: “anomici” non sono gli individui, con i loro comportamenti o i loro
tratti di personalità, ma  i contesti sociali in cui si trovano a vivere. quindi da dove scaturisce l'anomia
stessa?
Durkheim Pensa che questa condizione di carenza normativa non sia strutturalmente connesso alla
vita sociale, Ma che possa verificarsi in determinate congiunture storiche, caratterizzate da mutamenti
particolarmente rapidi e radicali. Durkheim attribuisce alla Sociologia il compito di riaffermare la
fondamentale coesione e unità organica del corpo sociale, contro ogni tendenza anomica.
altri autori altre correnti sociologiche hanno dato una risposta diversa alla questione della
conflittualità: la conflittualità è un aspetto essenziale dell'esistenza stessa della società.
la società infatti non è un Organismo Unitario, fondato sulla complementarità e sulla collaborazione
delle diverse parti che lo compongono, ma il  teatro perenne delle lotte e divisioni tra queste stesse
parti. il compito del sociologo è quello di analizzare le manifestazioni e le cause del conflitto, come
la disuguaglianza di posizioni esistente tra i diversi membri di ogni società.



LA STRATIFICAZIONE SOCIALE

Il sociologo Peter Berger nel suo manuale “sociologia. la dimensione sociale della vita quotidiana”

Osserva l'esperienza sociale che si configura fin dai suoi inizi come un'esperienza di differenze:

constatiamo che le persone sono diverse e non soltanto come individui, ma anche come rappresentanti

di determinate categorie o gruppi sociali. a questa differenza corrisponde una diversa collocazione su

un'ideale scala sociale, nel senso che alcuni gruppi o categorie sembrano disporre di opportunità e

risorse che ad altri sono precluse o accessibili in misura minore.

Questo fenomeno si chiama stratificazione sociale, ovvero la presenza, all’interno della società,

di una molteplicità di livelli, che si differenziano per la possibilità di accesso alle risorse sociali

di cui godono i membri di ciascun livello. La parola “strato” evoca immagini geologiche,

ma anche relative ad altri ambiti della nostra esperienza: in questi casi ci si riferisce a realtà in qualche

modo sovrapposte, che occupano posizioni differenti, benchè non sempre visibili a uno sguardo

superficiale. Forme si stratificazione sociale sono presenti in tutte le società, sia attuali sia passate.

per questo costituisce un tema di estremo interesse per la sociologia. Perciò, da dove ha origine la

stratificazione sociale? Fino a che punto, in una società stratificata, gli individui hanno la possibilità

di spostarsi lungo la scala sociale?




FORME DI STRATIFICAZIONE SOCIALE

La stratificazione sociale ha assunto forme molto diverse a seconda dei periodi storici. 

Nel mondo antico la stratificazione sociale conosceva una configurazione caratteristica, legata

all’esistenza della schiavitù. Gli schiavi erano persone private della libertà personale, appartenevano

cioè ad altri individui che li utilizzavano per le mansioni lavorative più faticose o meno gratificanti.

La schiavitù era diffusa e veniva percepita come “naturale”, anche se, al tempo stesso, si avvertiva

la necessità di giustificarne l’esistenza. 



Un’altra forma di stratificazione delle conseguenze sociali particolarmente marcate è la stratificazione

per caste: stratificazione rigida e globalmente immodificabile, fondata sulla nascita e connessa a

precisi rituali e obblighi sociali. Si tratta di una stratificazione molto rigida, legittimata su base

religiosa: a una casta si appartiene per nascita e non se ne può uscire in alcun modo.

Esistono 4 caste principali (Brahmini, Kshatriya, Vaishya, Shudra) e la di fuori di queste cosiddette

Paria, o intoccabili, veri e propri reietti del sistema sociale.

Spesso le caste si suddividono ulteriormente in sottocaste inferiori e in gruppi minori. 

Alla pratica di separazione, insita nel sistema delle caste, si associa la convinzione che ci si

contamini entrando in contatto, anche indiretto, con caste inferiori. Per questo motivo sono proibiti i

matrimoni tra persone di caste diverse e i contatti sociali. 


nelle moderne società occidentali, la stratificazione sociale ha assunto forme differenti, espresse da

nozioni scientifiche, come la classe, che nella concezione di Marx, ciascuna delle posizioni

antagoniste in cui,in un dato momento storico, è divisa la società; essa è determinata dal rapporto degli individui che vi appartengono con la proprietà dei mezzi di produzione; oppure come il ceto, che nella concezione di Weber, è un insieme di persone che hanno lo stesso status e stile di vita in virtù di “una comune appartenenza soggettivamente sentita”, ovvero della nascita e dell’educazione ricevuta.



I CLASSICI DI FRONTE ALLA STRATIFICAZIONE: MARX E WEBER

E’ stato Marx a porre al centro del discorso sociologico l’analisi delle classi sociali e dei rapporti tra di

esse. Dalla nozione marxiana di “classe” discende un’interpretazione della stratificazione sociale che

presenta alcuni aspetti caratteristici.

Per Marx, il criterio fondamentale che determina la stratificazione sociale è di tipo economico: è il

rapporto intrattenuto con la proprietà dei mezzi di produzione, che decreta la classe di appartenenza e

non con altre caratteristiche, come il potere o il prestigio, che ne sono le conseguenze.

La nozione di stratificazione si lega a quella della conflittualità. Tra le classi sociali il rapporto è di

conflitto perenne, poichè le loro reciproche posizioni sono generate dalla lotta per l'appropriazione

delle risorse.

Questa conflittualità è una costante nella storia dell’uomo, ma nella società industriale assume una

nuova e originale configurazione, sia per la drastica riduzione delle forze in gioco, cioè la borghesia

capitalista e il proletariato, sia per la novità dell’assetto sociale a cui dovrà approdare. 

La classe di appartenenza determina la posizione che un individuo ha all’interno della società, ma

essa non genera necessariamente in quello stesso individuo una reale percezione della posizione che

egli si trova a occupare. Marx chiama questa condizione “falsa coscienza”, condizione che minaccia i

membri della classi subalterne: il monopolio delle idee, esercitato da chi detiene il potere, infatti,

porta i membri delle classi subalterne a introiettare le idee e i valori socialmente dominanti, e in questo

modo preclude loro la possibilità di prendere coscienza dello sfruttamento a cui sono soggetto. 



Anche Weber ha affrontato il tema della stratificazione sociale. La teoria weberiana, prende avvio

dall’analisi di Marx, ma tenta di integrarla e superarla. 

Weber ritiene che il concetto marxiano di classe isoli solo un fattore della stratificazione sociale,

quello economico, identificato con la proprietà e il controllo dei mezzi di produzione, mentre il fenomeno

è più complesso.

Accanto alla classe Weber individua altri due fattori che determinano le differenze di livello tra i

diversi gruppi sociali: lo status e il potere. Il primo può definirsi come il livello di prestigio sociale

detenuto da un gruppo o da un individuo, che costituisce una variabile indipendente, benchè spesso

legata alla posizione di classe. Può accadere, che individui o gruppi di modesta condizione economica

godano di un certo prestigio sociale o all’opposto, che una grande ricchezza non garantisca uno status

a essa adeguato.

La stratificazione in base allo status da luogo ai ceti, insieme di persone che hanno uno stile di vita

simile, derivante da quella che Weber definisce “una comune appartenenza soggettivamente sentita”,

ovvero la nascita e l’educazione ricevuta.

La stratificazione in base al potere da luogo ai partiti politici, cioè gruppi di individui uniti da interessi o

obiettivi comuni, che competono tra loro per influenzare le scelte politiche dei governi e a portare a

compimento i propri progetti. Può capitare che il programma di un partito rispecchi gli interessi e le

aspirazioni di una precisa classe sociale, ma non sempre è così; molti partiti si costituiscono intorno a

progetti che accomunano persone di classi differenti.











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