SOCIOLOGIA: I MECCANISMI DELL'ESCLUSIONE SOCIALE: LA DEVIANZA

 I MECCANISMI DELL'ESCLUSIONE SOCIALE: LA DEVIANZA


UNA DEFINIZIONE PROBLEMATICA 

La devianza, ovvero ogni comportamento non conforme ai canoni di normalità e di liceità di una certa società in un determinato momento storico, si configura come la forma più acuta di conflittualità sociale. Essa contrappone gruppi e categorie sociali non già ad altri gruppi o categorie avvertiti come antagonisti, ma alla società nel suo complesso e alle sue norme che governano la vita dei suoi membri.

In primo luogo, il fatto che la normalità, e conseguentemente la devianza, si costituiscano solo in rapporto alla loro definizione sociale ha un'immediata conseguenza: nessun comportamento è di per sé deviante e ciò che appare tale in un certo contesto sociale o momento storico può non esserlo in altri tempi e luoghi. 

Allo stesso tempo, però, il fatto che un certo atto possa apparire "normale" a chi lo compie non ne abolisce il carattere deviante, se così lo definiscono i canoni socialmente costituiti. 

In secondo luogo, quando parliamo di "norme sociali" ci riferiamo, come sappiamo, a una pluralità di regole di condotta, differenti per tipo di legittimazione e grado di obbligatorietà. La loro violazione, di conseguenza, genera forme molto diverse di devianza, che possono andare dal rifiuto più o meno cosciente delle convenzioni sociali alle forme più efferate di criminalità. L'atto criminale, o reputato tale, costituisce per la società un problema indubbiamente maggiore dei comportamenti stravaganti e anticonformisti delle persone, che comunque destano, per la loro difformità dal comune sentire, l'interesse del sociologo.


Infine, l'esistenza di norme diverse per contenuto e tipologia pone problemi di "giurisdizione" tra le une e le altre norme. Le usanze e i costumi morali non sono ugualmente praticati all'interno della società da tutti i membri, mentre le norme giuridiche, emanate dallo Stato, valgono in modo indifferenziato per tutti gli individui. Può capitare così che un soggetto non appaia "deviante" dal punto di vista dei valori del gruppo sociale a cui appartiene, ma sia considerato tale dal punto di vista della legge o di altri gruppi sociali.

Può capitare anche che norme morali accettate e condivise dall'intera comunità diventino il sostegno di comportamenti che, di fatto, sono devianti


LA SOCIOLOGIA DI FRONTE ALLA DEVIANZA 


Ma perché alcuni individui intraprendono una carriera criminale? Come si origina la devianza? Questi interrogativi hanno suscitato l'interesse di molti studiosi, anche non appartenenti al campo della sociologia: nel corso del tempo, filosofi, psicologi, psichiatri si sono confrontati con il fenomeno della devianza e hanno tentato di fornire risposte a tali quesiti. 

Nella seconda metà dell'Ottocento, in piena cultura positivista, il criminologo Cesare Lombroso ipotizzò addirittura un'origine biologica della devianza e arrivò a sostenere che i criminali fossero identificabili attraverso caratteristiche fisiche. 

La specificità di un approccio sociologico alla devianza è data dal tentativo di mettere in correlazione l'insorgenza di condotte devianti non già con particolari fattori in divi. duali (siano essi di natura biologica, psicologica o semplicemente biografica), ma con determinate variabili di natura sociale. 

È all'interno della Scuola di Chicago che nascono i primi studi sul fenomeno della devianza nella forma di ricerche etnografiche su particolari comunità devianti: i vagabondi, protagonisti di "The Hobo" di Nels Anderson; le bande giovanili, analizzate da Frederic Thrasher in "The Gang"; i ladri, a cui è dedicato "The Professional Thief" di Edwin Sutherland. 

ln queste opere la condotta deviante viene vista come il prodotto di una particolare subcultura, cioè di un complesso di idee, valori, modelli di comportamento e linguaggi elaborato da un certo gruppo, all'interno del quale l'individuo compie un percorso di socializzazione, 

I sociologi di Chicago, inoltre, studiarono il rapporto tra le diverse comunità devianti e la configurazione spaziale della vita urbana, mostrando come esse tendessero maggiormente a proliferare in certe aree territoriali piuttosto che in altre, precisamente in quelle dove era più alta la disorganizzazione sociale, cioè dove era più debole l'influsso delle norme della società statunitense convenzionale.


MERTON: LA DEVIANZA COME DIVARIO TRA MEZZI E FINI SOCIALI

Una delle più note interpretazioni sociologiche della devianza è quella fornita da Robert Merton nel già citato Teoria e struttura sociale. Merton parte dalla constatazione che, all'interno di ogni società, esiste un divario tra gli scopi che vengono proposti ai membri della società stessa e i mezzi effettivamente disponibili per conseguirli.

Il comportamento deviante rappresenterebbe quindi un tentativo di appropriarsi delle mete socialmente desiderabili attraverso vie diverse da quelle della legalità, e sarebbe sollecitato dallo scarto tra aspirazioni e possibilità effettive sperimentato dalla maggior parte degli individui. 

Merton è consapevole che non tutte le persone che avvertono questo scarto mettono in atto comportamenti devianti; esistono infatti, secondo lo studioso, altre possibilità di reazione individuale a questo divario tra mezzi e fini sociali:

  • il conformismo, l'individuo accetta gli scopi sociali, pur sapendo di non poterli conseguire;
  •  il ritualismo, l'individuo si conforma alle condotte accettate dalla società, ma non crede più ai valori che essa propone;
  • la rinuncia, l'individuo rifiuta sia i valori sociali sia i mezzi proposti per raggiungerli;
  • la ribellione, l'individuo rifiuta scopi e mezzi e combatte attivamente per proporre nuovi valori e nuove condotte di vita.

hLa teoria di Merton è stata accettata e ripresa da molti altri studiosi. Essa si presta bene a spiegare la condotta deviante di individui e gruppi socialmente marginali, cioè appartenenti alle fasce economicamente e culturalmente più basse della società, per le quali il miglioramento di status e il raggiungimento del successo personale appaiono più spesso mete irrealizzabili per vie legittime. 

Tuttavia, i devianti non appartengono soltanto a queste categorie sociali, com'è facilmente constatabile della semplice lettura di un quotidiano, i reati e le attività socialmente deprecabili sono "trasversali" a tutte le fasce della popolazione. Esistono poi alcuni crimini che sono esclusivo appannaggio delle classi socialmente più elevate. 


   UN NUOVO SGUARDO SULLA DEVIANZA: LA LABELING THEORY 

Una diversa prospettiva che tenta di fare luce sulla questione della devianza viene proposta da un orientamento teorico che si afferma negli Stati -Uniti negli anni Sessanta del Novecento, a opera di autori come Edwin Lemert, Erving Goffman e Howard Becker, conosciuto con il nome di labeling theory, ovvero "teoria dell'etichettamento".


Secondo questa prospettiva, la devianza non è un attributo di determinati gruppi o individui, ma una condizione che si viene a creare in seguito a determinati meccanismi di attribuzione e definizione delle situazioni che si sviluppano nel corso dell'interazione sociale. Non ha senso, quindi, cercare presunte "cause" della devianza, visto che questa non è una qualità intrinseca della persona, ma occorre piuttosto ricostruire il processo con cui essa "si definisce come situazione", strutturando l'identità sociale dei soggetti che vi sono coinvolti. 


La "definizione sociale" della devianza opera a più livelli: 

  • ln primo luogo, la "definizione sociale" della devianza precisa ciò che deve essere ritenuto lecito o normale;
  •  In secondo luogo, la " definizione sociale" della devianza circoscrive la situazione che si crea quando la norma socialmente stabilita viene infranta da un certo comportamento, Nei confronti del trasgressore, reale o presunto, scatta un meccanismo di etichettamento: egli è considerato un deviante e trattato come tale. La stigmatizzazione ha l'effetto di innescare un pericoloso processo di ristrutturazione dell'identità sociale dell'individuo: egli impara a vedersi come un deviante, sviluppando progressivamente abitudini, convinzioni e motivazioni che lo allontanano ancora di più dall'alveo della "normalità", in un percorso implacabile a cui Becker dà il nome di «carriera deviante». 

Lemert esprime un concetto analogo distinguendo tra devianza primaria, quella connessa all'iniziale violazione della norma, e devianza secondaria, quella che si costituisce in seguito all'etichettamento sociale. 

trasgressione della norma (devianza primaria) → etichettamento sociale →  sviluppo di abitudini, convinzioni e motivazioni che rafforzano la condotta deviante →  devianza secondaria

La spirale innescata dall'etichettamento sociale può essere ricondotta a quel meccanismo più generale che Merton definisce profezia che si autoadempie, ovvero il fenomeno per cui i processi di attribuzione sociale spesso riescono a orientare il corso degli eventi in direzione perfettamente conforme al significato conferito, Nel campo specifico della devianza, il meccanismo della «profezia che si autoadempie» ci dice che chi è giudicato e trattato da deviante finirà per esserlo davvero.


A queste osservazioni si potrebbe obiettare che anche l'insorgere della devianza primaria esige una spiegazione e che la teoria dell'etichettamento non chiarisce nulla in merito. 

Perché, potremmo chiederci, a un certo momento un individuo decide di infrangere una norma? Quali sono le motivazioni che lo spingono in questa direzione? 

In realtà, dal punto di vista della labeling theory, tale questione assume pochissima importanza.

ln primo luogo, perché le spinte in direzione di comportamenti trasgressivi non sono appannaggio di soggetti particolari, ma costituiscono un'esperienza comune alla maggior parte degli individui. 

In secondo luogo, perché l'analisi delle carriere devianti mostra che vere e proprie motivazioni si sviluppano solo dopo che l'attività deviante si è consolidata.

In realtà, a proposito di quest'ultimo punto, la labeling theory può essere agevolmente integrata con altre prospettive di analisi. 

Si può supporre che la socializzazione da parte di subculture devianti, o che la mertoniana tensione tra mezzi e fini, presente soprattutto in certe fasce della popolazione, predisponga alcuni individui più di altri a comportamenti trasgressivi; l'etichettamento sociale farebbe, per così dire il resto, favorendo il passaggio dalla devianza primaria a quella secondaria.


Bisogna inoltre considerare che l'opera di etichettamento non è indipendente da variabili socio-ambientali, nel senso che una persona appartenente a uno strato sociale più basso ha maggiori probabilità di essere stigmatizzata come delinquente. 

Bisogna osservare che il percorso verso la devianza secondaria viene spesso alimentato proprio da quelle strutture sociali che dovrebbero correggerla o prevenirla.

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